VENTRIS TUI
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VENTRIS TUI
Introduzione
Ventre umano, sacro tempio di vita e mistero,
sacro segreto di passione e dolore:
tu il vero centro.
Tu, terra fertile, dove i sogni crescono e germogliano.
Tu, abbraccio caldo, accogliente e protettivo.
Tu, culla di speranza, dimora stabile di amore.
Tu, fonte di vita, dono prezioso e santo.
Tu, mistero che trascende il tempo.
Tu, benedizione che unisce alla terra e alle sue stagioni.
Tu, canto di gioia per la creazione.
Tu, mare di bellezza che brilla come una stella.
Tu, carezza di luce che scioglie ogni paura.
Tu, ventre di Madre, sacra grotta, cuore della grazia,
alba della redenzione, santuario di umanità nuova.
E, allora, un Grembo per disperdermi nell’oblio infinito,
per appagare il desiderio di fine e di rinascita,
in cui svaporano gli accoramenti,
in cui cresce il rigoglio del coraggio.
Tu, Madre, qualcosa mi risucchia in te, Madre,
che accecata dalla fiamma delle doglie
non pensasti agli orizzonti di lugubre scarlatto,
alle gelide croste del Cranio.
In te, Madre, m’immergo nel solco immenso del riflusso…
…in te, Madre, vediamo la verità e la luce.
G.B. Pergolesi Introito dallo Stabat Mater
1. Remitte illis
Senza velo, senza difesa, senza conforto alcuno.
Il Nudo è il più debole di tutti.
Non nasconde nulla, non ha zone d’ombra, non può riservare sorprese.
Trema il Nudo. Imbarazzato e svergognato,
infreddolito e spaventato, umiliato e offeso.
Non oppone resistenza, né obiezione alcuna.
Il ferro dei chiodi trafigge te e me.
Sentili: «Salvati! Salva te stesso!».
E indugiavano nel cielo gli schiamazzi purgati dalle intimazioni,
i barbagli della conoscenza, gli stami della permanenza.
Nessuna palpebra celeste proteggeva gli echi delle falci,
soltanto lussuose risate che rallegravano i roventi pomelli dei raggi.
Non hanno capito nulla di te. Non hanno voluto capire.
Da che ti hanno caricato sulle spalle questo legno odioso,
la sento, la sento ossessivamente la tua litania,
non riesco a scacciarla dalle mie orecchie:
«Perdonali... perdona... abbi pietà di loro...
non sanno... non comprendono... remitte illis...».
Ti hanno tolto tutto, ma non l’abito della misericordia,
che veste i tuoi gesti, le tue parole, la tua umanità.
Spogliato delle vesti…
Sì! Eppure sono loro quelli “messi a nudo”.
Nudi, loro più di te.
Come un velo pudico scendono le tue parole
a coprire la vergogna di chi non ha vergogna alcuna.
Tu, nudo e lacerato, sei Bellezza!
Il perdono sembra parola stonata
in questo abisso di violenza infinita.
Eppure tu, Amore fatto carne, straziato e oltraggiato,
rivestito di sacro silenzio, sospeso tra cielo e terra,
inchiodato e senza alcuna difesa,
tu sei il volto perfetto dell’uomo.
J.S.Bach, 49. Aus Liebe will mein Heiland sterben
2. Eris in paradiso
Non vogliono vedere, non vogliono vederti.
Sarebbero costretti ad ammettere il contrario.
Si sono radunati tutti là in fondo.
Per anni i più vicini, ora lontani.
Mentre loro cercano di uscire dalla mischia, tu ti immischi con l’umanità.
Eccolo il «re da burla» che non si difende
e che non è difeso da nessuno, nemmeno una parola...
Loro cercano di uscire dalla mischia, tu ti immischi con l’umanità.
La razza, la stirpe, la dignità, la discendenza, l’eredità,
l’identità, la parità, la libertà, la cultura, la spiritualità,
E anche le miserie, le malvagità, le mediocrità, le violenze, le bestemmie,
le infedeltà, le cupidigie, le lussurie, i tradimenti, le avidità.
Tutto si mescola e diventa una cosa sola.
«Ricordati di me…».
Quando? Ieri? Domani? Quando ti ricorderai di noi? Oggi…
«Oggi sei con me sull’albero della croce,
oggi sarai con me sull’albero della salvezza» (sant’Agostino).
Le radici sono sempre altrove, situate in lontane alture:
rifugio di remote dolcezze e di silenzi.
I cortili inospitali, su cui si conficcano i chiodi della discordia
e il rosso pianto dei rinnegamenti voluti,
asfissiano il canto del gallo e gli aerei piumaggi
e i quotidiani accordi dell’inservibile spirito.
È la gara tra la sommessa spontaneità e la feroce ipocrisia.
Indugiano nel cortile parvenze di contraddizioni
e aleggia l’ossessivo spettro del disamore.
Eppure, in ogni abissale buio della vita
c’è sempre il segno inaudito della misericordia
che travalica i meriti e le aspettative.
Sostare di fronte a te significa
percepire tutta l’umana contraddizione
e la misura alta e sublime della Grazia.
Oggi, hic et nunc.
G.F. Handel, Haec est Regina virginum, HWV 235
3. Ecce Mater
Vedi, sono qui, in piedi.
Il mio volto è macerato e teso, le labbra serrate.
La tua passione è la mia passione.
Guardo il tuo corpo. Le mani, il petto, le gambe, il volto, i piedi.
Ti sento di nuovo nel mio ventre.
Tu conosci assai bene l’uscire.
Sei fluito dal silenzio, ti sei fatto luce nel mio seno, ora esci nuovamente dal mondo…
Voi modellate una interminabile riga piatta,
in cui si diffonde un’epidemia di dicerie, e maledite il peccato!
Voi stroncate i motteggi e il debutto dell’indiscrezione, voi con umili inchini,
ma sì perfetti da occultare il discredito e un vago senso di mortificazione,
economizzate le snervanti e grevi fatiche ed evitate i sacrifici con servili sentimenti, mentre una piovra insonne asseconda i chiassosi festini
rallegrati da grottesche sfilate di costumi infesti.
Voi ascoltate il piagnisteo della recita
eppure ancora paventate la punizione che reca seco la libertà,
e confidate ancora nella maschera malgrado la crescente stanchezza,
malgrado la fallacia imbratti di nerastra antipatia le eccelse sedi del pensiero.
Siete un folto grappolo di maschere autonome,
soffuse di tracotanza, di arrivismo, di baldanza,
che stomacano persino il monotono dondolio delle giornate
e imbellettano remissive rughe incavate dall’imbarazzo, dagli intrighi,
dagli infondati sospetti e dalla trama dei dispetti.
Trasudano dalle maschere soltanto meschine parvenze che rimandano la prigionia.
Ecce Mater, ecce filius…
Parole, queste, come una soglia aperta da attraversare.
Alfa e omega, inizio e fine. Nascere e morire.
Proprio come si esce da un utero per entrare nella vita.
Comincio ad assaporare una nuova maternità.
Hildegard von Bingen, Alma Redemptoris Mater
4. Lema sabacthani
Grida ancora! Gridalo di nuovo! Gridalo più forte!
Non permettere a questo silenzio di ferirti!
Avverto il sapore disgustoso del rifiuto e dell’indifferenza fare a brandelli la tua anima.
L’ombra cupa di un destino nemico agghiaccia il tuo cuore. Urla più forte!
Perché non gridi ancora, ancora e ancora
fino a squarciare quel cielo ostinatamente silenzioso e chiuso?
La morte è nei piedi. Avrei voluto essere i tuoi piedi.
Si oscurano le armoniche prospettive delle anche,
si arresta l’aritmica andatura che esala la l’immane vigore degli uomini forti.
La morte è nel ventre. Avrei voluto essere il tuo ventre.
Alcuna notoria o ignota materia alle successive generazioni
adombrerà il vigore del tuo torace.
La morte è nel petto. Avrei voluto essere il tuo petto.
Sei fragile ora, di una gracilità inconcepibile,
che sale fino al volto reclinato sul lato.
La morte è nel collo e indi nella faccia. Avrei voluto essere il tuo collo e la tua faccia.
La fronte una volta tenue, ora così angustiata,
così afflitta, così dolorante.
La morte è nella testa. Avrei voluto essere la tua testa.
Io la sento, la sento la tua carne dentro la mia carne, i tuoi spasmi nel mio petto,
il sangue dalle mani e dai piedi forati cadere sul mio volto esanime.
Esce come vita dal mio corpo, gocce scarlatte che sporcano il Golgota,
ventre di un nuovo giorno, ora della massima fecondità:
generazione a prezzo della morte.
Una terra sorda e un cielo muto
E tu, figlio mio, figlio amato, scegli drammaticamente, dolorosamente,
fortissimamente scegli tu di restare appeso a questo legno!
Il cielo muto, la terra sorda, il tuo dolore sospeso…
E se quest’Amore nasce morendo,
non può che essere l’unica vera, divina, eterna salvezza.
J.S.Bach: Magnificat - "Quia respexit"
5. Sitio
Come potranno attraversare i deserti della vita
se tu non doni loro l’acqua che zampilla come sorgente inesauribile?
Come potranno rispondere all’odio con l’amore,
come potranno vincere il male con il bene,
come potranno rinunciare alla vendetta e al rancore,
se tu non guarisci le ferite che si portano dentro?
Come terra riarsa è l’animo umano.
La morte ha il nome di aridità. La aspettavo.
L’aceto è quel che vorrei bere per placare questa sofferenza,
che mi tormenta il cuore e mi sgomenta,
un liquido aspro e pungente che può lenire
questo male che mi attanaglia e mi affligge.
Il suo sapore aspro mi brucia la gola
ma non posso resistere alla sua richiesta
perché quella sete mi porta a te.
È come una carezza al mio cuore, che mi ricorda il tuo dolore.
Sete di aceto, sete di verità, sete di conoscenza, sete di bellezza,
Sete di chi cerca la giustizia e la pace, sete di redenzione.
A. VIVALDI, Stabat Mater RV621 Fac ut ardeat. Amen.
6. Consummatum est
Questa tenebra orrenda e soffocante
dissolve le arroganze dei potenti.
Il buio è l’amico dei malfattori,
di chi trama in segreto, di chi progetta il male.
Compagno della menzogna, dell’anonimato, dell’ipocrisia.
Immagine dell’oblio, della perdizione, della morte.
Sento nel ritrarsi della luce il rifiuto ad offrire la complicità.
Tutto è compiuto, tutto è consumato!
G.B. PERGOLESI, Stabat Mater Vidit Sum
È questo l’istante immobile: il tempo si ferma.
È l’ora zero della storia, l’ora del tempo nuovo.
Il Cielo si squarcia a metà e con esso il velo del Tempio:
nel tuo volto il volto del Padre, faccia a faccia.
Con te perfino la morte diventa lieve…
Tutto il dolore della Passione sembra acquietarsi
come la terra che, dopo aver accolto il seme nel solco,
attende nella pace che germogli.
È l’ora del grande silenzio.
Nulla più possiamo fare, amato figlio,
nulla dire, ma solo rimanere nel tuo amore,
inchiodati con te alla croce.
A. CESTI, Disserratevi Abissi
Tutti Noi come pecore eravamo sbandati ognuno sviato dal suo sentiero,
ma il Signore ha fatto cadere su di lui i peccati di tutti,
egli fu disprezzato, reietto dagli uomini,
l’uomo del dolore, il servo ubbidiente e come l’agnello
condotto a sacrificio non apri la sua bocca,
così egli ha portato le nostre colpe,
il nostro dolore e noi
lo abbiamo creduto un peccatore abbandonato da Dio,
un malfattore.
Ma egli fu immolato per i nostri delitti e fu colpito
per le nostre iniquità ma attraverso le sue piaghe,
noi siamo guariti e possiamo rinascere
7. Commendum spiritum meum
Il tuo ultimo respiro ha il sapore del vento. Lo riconosco.
Il vento che, con un colpo di brezza, ha mosso ogni cosa.
Quello che non sai da dove viene né dove va.
che spoglia i rami da ciò che è seccato,
che feconda la terra coi germi della vita.
Giuseppe… Nicodemo...
Sei il Cristo di Giuseppe. Sei il Cristo di Nicodemo.
Sei il Cristo di tutti coloro ai quali ti sei aggrappato…
Come questa povera Croce. Un legno maledetto, ora segno di benedizione.
Un attrezzo di morte, adesso spazio d’amore.
Finalmente è squarciato il velo della sufficienza!
Finalmente è spaccata la roccia del cuore!
Caduto nel silenzio della morte, tu, Figlio amato e prediletto,
non sei perduto per noi, perché l’Amore è più forte e ha vinto.
Sento la pietra del sepolcro rotolare pesantemente…
L’indicibile non si spiega. Ci si piega a contemplare.
L’abisso del buio si svela…
Un bagliore ampio sorge nell’orizzonte oltre…
Il colore si fa luce, alito abbagliante di luce…
Ci si può annegare dentro e farsi portare.
Ora posso morire anch’io, felice.
E se dovessi rinascere sono sicura che andrei con passo deciso
in direzione del Figlio dell’Uomo.
È la consegna di se stessi in un tutto di luce.
Sarà questo risorgere?
J.S.BACH: Komm, süsser Tod BWV 478