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Il Conservatorio della Pietà dei Turchini
Nel 1573 si riunirono nella piccola chiesa dell’Incoronatella, in Rua Catalana attuale Via Medina, parecchi abitanti della zona per formare una confraternita inizialmente denominata “I Bianchi dell’Immacolatella” che potesse raccogliere ed ospitare i fanciulli abbandonati o dispersi.
In principio i fanciulli venivano ospitati nella Chiesa ma essendo aumentati di numero vennero successivamente ospitati in uno stabile a ridosso della Chiesa che è visibile ancora oggi anche se totalmente trasformato: Santa Maria della Pietà dei Turchini sulla via Medina.
Essendo lo scopo e l’organizzazione simile a quella degli altri Conservatori preferiamo che la descrizione della vita nel Conservatorio della Pietà dei Turchini siano illustrate attraverso documenti dell’epoca.
La divisa era prescritta dalle medesime Regole e Statuti che descrivono minuziosamente il modo di vestire e di avere cura della propria immagine dei giovani allievi.
“Ognuno che vive in Conservatorio deve vestire con un abito modesto, e decente, di color torchino che vada al pavonazzo, lungo a modo di sottana ecclesiastica, con collare bianco, bottoni, cinta e zimarra dell’istesso colore torchino, cappello e scarpe nere, calzette torchine o bianche. Si proibiscono affatto, come cose disconvenevoli al decoro dell’abito, mostre e bottoni, e cinte e calzette di altro colore, come ancora merletti, pezzilli nelle camice, fettucce, camesini, tacchi rossi nelle scarpe, fiocchi, bottoni indorati o inargentati, o coccarde al cappello, anelli, manicotti alle mani, fibbie d’argento o di metallo detto del principe, ed altro che denota piuttosto vanità secolaresca che modestia di conservatorista.
Non ardischino portare capelli lunghi o inanellati, o sparsi con polvere di cipro, o toppè di sorta alcuna, ma che quelli siano corti e decenti all’honestà del Santo Luogo, chepperciò almeno se li facciano tagliare una volta al mese. Abbiano accortezza di portare la veste abbottonata, polita, e zimarra ben acconcia, cioè infilzata con ambedue le braccia, com’ancora non comparire in pubblico senza la veste e nel caso che questa si dovesse rappezzare, senza portare addosso la zimarra.
Tutti quelli che sono clerici non trascurino portare la corona seu chierica nel capo, convenevole e decente a ciascheduno ordine, quale almeno ogni otto giorni se la facciano radere, e procurino di vivere con modestia, con decoro ed esemplarità”.
Ferdinando IV di Borbone, per fronteggiare eventuali rivolte all’interno di questo Conservatorio come già accadute al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, nomina un Regio Delegato con poteri assoluti di controllo.
Viene nominato Saverio Mattei, persona stimata dal mondo della cultura dell’epoca per le sue comprovate capacità organizzative e gestionali.
Grazie al Mattei prima e a Giuseppe Sigismondo dopo, il Conservatorio della Pietà dei Turchini sarà l’unico dei quattro Conservatori a non chiudere, ma anzi ad accogliere gli allievi degli altri istituti per poi trasferirsi prima al Monastero di San Sebastiano e poi nel Convento di San Pietro a Majella sede dell’attuale Conservatorio di Musica.
A Saverio Mattei è dovuto anche il merito di aver favorito ed organizzato l’incredibile fondo di autografi dei grandi compositori della Scuola Napoletana del Settecento che oggi si conserva nell’attuale Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli.
L’organizzazione della scuola era molto precisa come possiamo notare da questa straordinaria descrizione tratta da Regole e statuti del Real Conservatorio della Pietà dei Torchini da osservarsi dalli ministri, maestri, alunni e serventi:
Per evitare la confusione che potrebbe nascere se li maestri di musica venissero tutti in un medesimo tempo, s’è determinato che alcuni venghino la mattina ed altri il doppo pranzo. Non per questo devono coloro ai quali manchi il Maestro, o la mattina o doppo il pranzo, perdere e consumare il tempo nell’otio ma starsene nel luogo del proprio dormitorio, applicati allo studio.
All’avviso che havranno col campanello della venuta del proprio Maestro, subito eschino fuori del dormitorio e si portino da quello, e baciatoli la mano stiano avanti di lui impiedi modesti ed ossequiosi, apprendendo il suo insegnamento et ubbidendo a’suoi comandi, e castigati non ardischino rispondere, anche che stimassero irragionevole il castigo. Non si partano dal loro respettivo Maestro, se non licenziati da quello, et havendo giusta causa di partire li domandino riverentemente licentia. Havendo uno delli Maestri bisogno de’discepoli d’altro Maestro per far concerto, chiamati quelli, senza dimora alcuna, accorrino subito, l’ubbidischino in tutto ciò che gli ordina, come se fosse il proprio maestro, nè ardischino partirsi se non licentiati da questo. Ritrovandosi nell’attuale esercizio delle scuole sì de grammathica come de musica, niuno ardischi di partirsi benchè chiamato, purchè non fusse per qualche bisogno del Conservatorio, o di qualche padre che non patisse dilatione.
Nel tempo che si fanno le scuole cessi ognuno di cantare ò suonare di maniera che puole essere d’impedimento a discepoli, ò di disturbo alli maestri, che perciò s’assegnerà ad ogni classe l’hora et il luoco per il suo esercitio. Dovendosi fare esercitio di musica non si facci in tempo delle scuole, ma in quelle finite, et acciò questo esercitio non impedisca lo studio degli altri si osservi questa regola, cioè: la classe delli Eunuchi faccia l’esercitio di cantare uniti nel proprio dormitorio, la classe delli Tenori nella sala, la classe delli Bassi nel guardarobba superiore, la classe delli Violini nell’angolo inferiore del dormitorio dei grandi, la classe dell’Oboè nell’ubbidienza, la classe delli Violoncelli e Contrabassi nel passetto della guardarobba siperiore, e la classe delli Tromboni e Trombe nella guardarobba inferiore. Nella sera d’ogni sabbato, purchè non sia impedita per altro esercitio e da festa di precetto, si concertino le flottole e le correnti, al quale esercitio devono intervenire anche coloro che fanno professione di cembalo e devono quelle cantare et sonare come gli altri, che perciò coloro che s’applichino ancora o al canto o a qualche istromento per poter servire le Paranze.
Tra i Maestri di Cappella del Conservatorio della Pietà dei Turchini si ricordano:
Giovanni Maria Sabino, Francesco Provenzale, Don Gennaro Ursino, Nicola Fago, Leonardo Leo, Lorenzo Fago, Nicola Sala, Giacomo Tritto, Geronimo Abos e Pasquale Cafaro e tra i mu-